Famiglia

 

E’ triste dirlo (ancor di più scoprirlo), ma bisogna staccare la spina delle relazioni sociali con persone che non manifestano alcuna intenzione di cambiare stile di vita, perchè la loro dipendenza, purtroppo, rinforza la nostra, sempre sonnecchiante in noi malgrado le buone intenzioni.

Bisogna entrare in contatto con persone che si sono liberate dalle dipendenze, almeno sul piano teorico, e formare gruppi di autoaiuto per provare a cambiare insieme. La natura umana è si capace di creare una società migliore, ma agendo non dall’alto bensì dal basso, attraverso l’istituzione di piccoli modelli in grado coinvolgere il resto della società. Non occorrono per questo le raccomandazioni dei potenti: i primi cristiani non ebbero l’aiuto di cesari e pretori, tuttavia, una volta versato il sangue nelle arene romane, l’aiuto di magistrati e imperatori venne.

Oggi grazie a Dio non è chiesto alcun martirio, tuttavia, una sicura decisione senz’altro. L’applicazione più integrale dei principi di vita spirituale (e delle strategie della permacultura) è possibile quando si formano e si organizzano delle comunità intenzionali; comunità che non sono il frutto – in maniera inconsapevole – di processi sociali ed economici, ma vengono deliberatamente formate per perseguire un certo scopo, di carattere tanto etico che pratico. Uno sviluppo di relazioni cooperative tra persone, famiglie e comunità – diverso da quello proposto dai modelli consueti (messa domenicale e pranzi natalizi) – è il necessario traguardo di un’umanità spiritualmente adulta. Senza di esso, le strategie partitiche e/o popolari per tentare di controllare le istituzioni politico-economiche nazionali e internazionali assicurano il successo come cercare di svuotare l’oceano con un secchiello.

"Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta" (Richard Fuller).

Persuasi di questo, si passa alla prova pratica: proprio come le prime comunità cristiane, occorrerà mettere tutto in comune, soldi e proprietà, per acquistare terra casa alberi, mucche e quant'altro.

Giovanni Verga nella sua novella “La roba, racconta la storia del contadino Mazzarò, un grande accumulatore di ricchezze.

Un giorno l’uomo scoprì di essere malato e di stare per morire, allora prese a correre per i campi ammazzando a colpi di bastone le sue anatre e i suoi tacchini, al grido: “Roba mia! Vieni con me!”.  In effetti, se si muore non si è più padroni di nulla, e allora perché avere tante cose?

“Per gli altri!” dovrebbe essere la risposta giusta. Questo però non significa vendere tutto e far confluire il ricavato in un conto corrente universale intestato a Big Jim (o alla moglie, come nel caso Tolstoj), significa lasciare la presa sulle proprie proprietà lasciandole libere di essere sfruttate dalle migliori intenzioni dell’umanità. Conservandone la nuda proprietà, ci si garantisce voce in capitolo sulla loro gestione (non si sa mai qualche esaltato c'è sempre). Chiaramente se si vuole essere come San Francesco d'Assisi, si cederà anche quella, ma in genere non conviene. Ciò che conta è battere l'individualismo. 

L’individualismo e un’esistenza socialmente autonoma sono gli stili di vita che si impongono automaticamente ogni volta che prevale il modello della società industriale e dell’abbondanza. È interessante notare, però, che nella ricca Scandinavia il fenomeno è meno evidente.

Ad esempio, il movimento del co-housing molto diffuso in Danimarca, può non essere maggioritario tra la popolazione, ma non può certo essere considerato marginale o frutto dell’influenza di qualche guru della New Age. Il co-housing generalmente coinvolge gruppi di persone che decidono di abitare in comune, ripristinando case o appartamenti di media grandezza, con utilizzo in comune di vari servizi. Il modello danese si è diffuso poi in altri Paesi sviluppati e ricchi, tra persone alla ricerca di modalità di vita e di abitazione migliori. C’è da dire che la maggior parte dei progetti di co-housing è realizzata nelle aree urbane senza grandi originalità per quanto concerne moduli architettonici o culturali, ma a questo si può sempre rimediare; nei progetti più recenti, la proprietà comune e la progettazione integrata hanno portato a includere nella coabitazione molte tendenze di tipo ecologico e artistico.

Fra tutti, il modello che ha avuto il successo maggiore è stato quello dei kibbutz sionisti, che ha partecipato direttamente alla costituzione dello Stato di Israele nel 1948.

L’esistenza di una minacciosa maggioranza di Stati arabi in Palestina contribuì, ovviamente, alla coesione e al successo del kibbutz, ma l’unità culturale e religiosa come motivo del loro successo viene spesso sovrastimata. In realtà, si potrebbe sostenere che il vigore della comunità, generato dall’ibridazione tra ebrei provenienti da paesi e ambienti culturali molto diversi, fu importante almeno quanto i valori unificanti del Giudaismo e del Sionismo. Pochi sanno che molti dei primi kibbutz erano formati da ex cittadini (in buona parte provenienti dall’Europa orientale) di orientamento socialista e che molti di essi erano addirittura anti-religiosi o atei.

Il declino del movimento dei kibbutz, a partire dagli anni ’70 del '900, è in parte un prodotto del suo stesso successo, cioè l’aver contribuito a creare una nazione ricca, forte e più sicura che, a partire da quell’epoca, segue i destini di tutte le altre nazioni "sviluppate", con un costante aumento dell’individualismo. A questo processo "involutivo" contribuirono in modo determinante gli aiuti, la cultura e la politica statunitensi, sia quelli del governo USA che quelli della potente comunità ebraica americana.

Ma non perdiamoci nei dettagli, la lezione più importante che ricaviamo da queste esperienze, è che le persone possono effettivamente vivere insieme e auto-governarsi a livello collettivo, e questa è una potente smentita all’opinione generale che la cooperazione con i vicini non sia possibile o desiderabile. Anche "i batteri vivono di collaborazione, alloggio, scambio e baratto" (Lewis Thomas, 1974). La cooperazione, non la competizione, è la base stessa dei sistemi di vita esistenti e di quelli destinati a futura sopravvivenza.

Sarebbe tuttavia poco onesto nascondere che...

Impone sacrifici e talvolta profondi “riorientamenti gestaltici”, modellati sui componenti o sulla fisionomia complessiva dell'entità riunita insieme. Si valuti bene il gruppo nel quale ci si inserisce e si faccia questo passo con cognizione di causa. Quando è fatto nel proprio cuore, si può pensare alle questioni tecniche: l’allontanamento dalle città non può essere eluso: non c'è terra in un appartamento. Senza terra viene meno la possibilità di condivisione della vita in un progetto comune. Diventa inoltre impossibile risparmiare sui costi di produzione del cibo e dell’energia.

L’alternativa è rinsaldare giorno dopo giorno il legame con la propria macchina, la tv e le bollette del gas.

 

“Il segreto della felicità è semplice: scopri che cosa vuoi veramente ed indirizzi tutte le tue energie verso questo obiettivo. Se osservi bene le persone più felici, più sane, più soddisfatte, vedrai che ognuna di loro ha trovato la sua vocazione nella vita, e dedica la sua giornata ad essa. Di solito questa vocazione è anche utile agli altri. Quando riuscirai a concentrare il potere della tua mente e le tue energie nell’attività che prediligi, riuscirai a realizzare ogni tuo desiderio con la massima semplicità e senza fatica”.

 

da "Il monaco che vendette la sua Ferrari", di Robin Sharma

Nell’agricoltura industriale lo spazio che serve a soddisfare anche semplicemente il fabbisogno annuale di carboidrati di una sola persona, è immenso, ma con la  permacultura  è possibile comprimere le aree occupate dai coltivi aumentando la produttività “calorifera” per unità di superficie (olio, frutta e miele sono più “nutrienti” di una campo di grano) e destinando le zone più “selvatiche” ad altri usi (pascoli, laghetti, boschi etc etc), che migliorano occasionalmente la resa alimentare della casa (nocciole, formaggi e anche pesci se si pratica l’acquicoltura).

A Melliodora, il  centro permaculturale  fondato da David Holmgrem (il principale collaboratore di Bill Mollison), la casa è circondata da un’area a gestione intensiva di mille metri quadri; il resto della proprietà (ottomila metri quadri) ospita alberi da frutta irrigati a goccia e bestiame a pascolo in rotazione. Per l’area boschiva, Melliodora attinge alle risorse del vicino parco a demanio pubblico (v. Figura 24) pg 159 forse non ne sono sicuro

Melliodora è abitata da una famiglia di 5 persone. Moltiplicando i dati per 3 otteniamo dunque i dati che servono a una comunità di circa 15 persone.

 

Orto-Giardino (O.G.): 3.000mq

(offre ortaggi e frutti da parte di essenze delicate e pretenziose)

 

Pascolo puro: 1,5 ettari

(concime, uova e latte)

 

Colture Estensive (C.E.): 6.000mq

2.000mq (cereali per il pane) + 2.000mq  (coltura da biocombustibile) + 2.000mq (alberi e arbusti fruttiferi rustici)

 

Bosco ceduo (Bc): 3.000mq

(fornisce legna da ardere e integra la dieta)

 

Fustaia: 3.000mq

(fornisce le lastre di legno necessarie per 1 casa alla futura generazione)

 

Arcipelago Silvano (A.S.): 3.000mq

(fornisce una spiritualità al verde del cerel e migliora il coefficiente di biodiversità)

 

TOTALE: 33.000mq (3,3 ettari).

 

Dopo la casa, ciò che cementa una famiglia è il fare le cose insieme

(pane, pizze, pareti e preghiera).

Mi è stato obiettato che 2 o più famiglie non possono convivere insieme sotto uno stesso tetto a stretto contatto, perchè le mogli tradirebbero i mariti e i mariti si sentirebbero in un harem. Condivido questa paura, ma mi chiedo anche: come risolsero il problema le prime comunità cristiane? Noi siamo animali? E' bene vivere all'ombra dei nostri incubi?